Nel mondo sacro del tennis professionistico, dove ogni colpo porta con sé il peso della storia, Stan Wawrinka si è fatto portavoce di una profonda delusione, vedendo la sua fiducia nella purezza di questo sport vacillare a causa della controversa vicenda di doping che ha coinvolto Jannik Sinner. Il veterano svizzero, vincitore di tre titoli del Grande Slam, non ha nascosto la sua amarezza, indicando il caso del numero 1 al mondo come un punto di svolta che lo ha spinto a interrogarsi sull’integrità di uno sport a cui ha dedicato la vita. Quella che era iniziata come una normale indagine antidoping si è trasformata in un caso polarizzante, e le parole schiette di Wawrinka hanno aggiunto benzina su un fuoco già divampante, alimentando il dibattito su equità, responsabilità e l’anima stessa del tennis.
Al centro della vicenda c’è Sinner, il 23enne fenomeno italiano che ha incantato il pubblico con il suo gioco instancabile da fondo campo e la sua freddezza sotto pressione. Nel marzo 2024, è risultato positivo due volte al clostebol, uno steroide anabolico vietato, durante e dopo il torneo di Indian Wells. Inizialmente, un tribunale indipendente lo ha scagionato da ogni colpa intenzionale, accettando la sua versione secondo cui la sostanza era entrata nel suo organismo accidentalmente tramite uno spray curativo usato dal suo fisioterapista su una ferita alla mano prima di un massaggio. All’epoca, Sinner evitò una squalifica, perdendo solo i punti e il montepremi di quell’evento. Ma l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) non si è arresa: ha fatto ricorso contro la decisione, chiedendo una sospensione da uno a due anni, per poi accordarsi, nel febbraio 2025, su una squalifica di tre mesi, dal 9 febbraio al 4 maggio, un periodo che gli permette di saltare i tornei minori ma di tornare giusto in tempo per il Roland Garros, il gioiello della stagione sulla terra rossa.
Per Wawrinka, questa soluzione è stata un duro colpo. “Non credo più in uno sport pulito,” ha dichiarato con una forza che ha scosso il mondo del tennis. A 39 anni, con una carriera segnata da tenacia e trionfi—tra cui vittorie all’Australian Open, al Roland Garros e agli US Open—ha vissuto l’evoluzione di questo sport, ma questo episodio gli è sembrato un tradimento. La sua delusione non nasce dal dubitare dell’intenzionalità di Sinner—la stessa WADA ha riconosciuto che la contaminazione è stata accidentale—ma da quello che percepisce come un sistema che sembra piegarsi per proteggere la sua stella più luminosa. La tempistica della squalifica, incastrata abilmente tra i grandi tornei, gli è parsa fin troppo indulgente, lontana anni luce dalle punizioni più severe inflitte ad altri per violazioni simili.
Wawrinka non è solo nel suo sconforto. Negli spogliatoi del circuito, il malcontento serpeggia, con giocatori come Nick Kyrgios che denunciano un presunto favoritismo verso i grandi nomi. “L’equità nel tennis non esiste,” ha lamentato Kyrgios, sottolineando come Sinner abbia potuto mantenere titoli e guadagni nonostante i test positivi. Ma il giudizio di Wawrinka va oltre, rivelando una perdita di fiducia personale. “Non si tratta solo di questo caso, ma del messaggio che trasmette,” ha lasciato intendere, suggerendo che il sistema antidoping sembri adattarsi a chi ha più potere, lasciando i giocatori meno noti a pagarne il prezzo pieno.
Il confronto con altri casi è lampante. Pensiamo a Simona Halep, ex numero 1 del mondo, che ha subito una squalifica di quattro anni (poi ridotta a nove mesi) per un test positivo, o a Tara Moore, ferma per 19 mesi prima di essere scagionata per carne contaminata. Il rapido ricorso di Sinner, supportato da un team legale di prim’ordine, e una sanzione che sembra più una pausa che una punizione, hanno alimentato l’idea di un trattamento di favore. “Ho visto come funziona negli anni,” ha riflettuto Wawrinka, con un tono carico di rassegnazione. “Ti chiedi se le regole valgano davvero per tutti.”
Sinner, dal canto suo, ha mantenuto un atteggiamento composto, accettando la responsabilità per la negligenza del suo team e ribadendo la sua innocenza. “Questo caso mi ha pesato per quasi un anno,” ha confessato, spiegando la scelta di accettare i tre mesi di squalifica piuttosto che rischiare una battaglia legale che poteva protrarsi fino alla fine del 2025. “Ho sempre accettato di essere responsabile per la mia squadra e riconosco che le regole severe della WADA sono una protezione importante per lo sport che amo.” La squalifica è iniziata poche settimane dopo aver difeso il titolo all’Australian Open a gennaio, una vittoria che ha dimostrato la sua forza anche sotto pressione. Eppure, mentre si prepara a rientrare a maggio, forse al Masters di Roma davanti al pubblico di casa, l’ombra di questa vicenda non si dissipa.
La disillusione di Wawrinka non riguarda solo Sinner, ma uno sport che teme stia perdendo la bussola morale. Un tempo baluardo dell’onore individuale, il tennis si trova ora a fare i conti con interrogativi su equità e trasparenza. “Ho dato tutto a questo gioco,” ha detto, con la voce appesantita da una carriera costruita su sudore e sacrifici. “Quando vedi qualcosa del genere, ti chiedi: per cosa stiamo davvero lottando?” Con la stagione sulla terra rossa all’orizzonte, Sinner pronto a riprendersi il trono e Wawrinka che continua a combattere nel crepuscolo della sua carriera, le eco di questa controversia risuoneranno ancora, sfidando il tennis a dimostrare di poter essere uno sport giusto, non solo per l’élite, ma per chiunque calchi il campo.
Leave a Reply